Ha 29 anni e ha fatto dell’avventura e del viaggio un vero e proprio stile di vita Christian Bachini. Italiano di nascita, Prato per l’esattezza, ma cinese d’adozione, ha dato un grande slancio alla propria carriera approdando oltreoceano nella terra delle arti marziali. La passione per la pratica orientale, insieme a quella del cinema, accompagna da sempre il 29enne italiano, le cui doti sono state riscoperte dai grandi dello scenario cinematografico. Dopo aver trovato fortuna in Cina, ed essere diventato un volto noto del grande schermo, approda sulla Tv italiana grazie alla partecipazione allo show di Rai 2 Pechino Express 4. Bachini, infatti, insieme a Pascal, nome d’arte di Pasquale Caprino, appartiene alla coppia degli espatriati. Christian Bachini in esclusiva a Gente Vip.
Christian Bachini: “Con Pechino Express si è finalmente presentata l’occasione di vivere dal vivo una vera e dura avventura…”
Da Prato hai voluto fortemente trasferirti in Cina per inseguire un sogno ambizioso. Quali fattori hanno influito nella scelta di questo grande lancio?
I fattori sono stati molteplici in realtà. Un po’ derivati dalle mie passioni, un po’ dai miei sogni nel cassetto e dalle mie ambizioni personali, dato che per essere pronti a lottare a denti stretti contro ogni tipo di avversità, l’ambizione nel voler raggiungere un dato obiettivo è fondamentale per trovare la grinta ed il coraggio necessari. Il primo grande fattore è stato indubbiamente il mio amore assoluto e indiscusso per la cinematografia Orientale, e quelle di Cina ed Hong Kong in particolare. Sin da piccolissimo sognavo un mestiere all’insegna del rischio e del pericolo, ma anche qualcosa che mi permettesse di trasmettere certi valori in cui credevo e su cui iniziavo a basare la mia vita. Dopo la grande passione per i film d’azione occidentali, un giorno venni folgorato dalla visione di un film di Jackie Chan. Quell’attore era in grado di eseguire acrobazie incredibili e ai limiti della morte. Iniziai ad indagare a fondo su quel tipo di cinema, scoprii i grandi capolavori di maestri come John Woo, Tsui Hark e tutta la grande scuola di cinema orientale. In quei film trovai non solo adrenalina e vero rischio con l’uso di zero effetti speciali, ma anche storie che trattavano quelle tematiche che per me erano davvero importanti. Amore, famiglia, onore, rispetto e amicizia. Tutte narrate con una sensibilità più profonda ed interiore rispetto alle controparti americane per esempio. Decisi subito che da grande avrei fatto di tutto pur di riuscire a diventare un esponente di quel grande cinema. La decisione di provare poi la mia fortuna in Cina è derivata dall’ambizione di cui parlavo. Sapevo che a Hong Kong c’erano già stati esempi di attori occidentali che avevano lavorato nel cinema, da Van Damme a Richard Norton etc. Persino il nostro Pasotti aveva recitato in alcuni ruoli in un paio di film di Hong Kong. La Cina invece era un terreno vergine. Nessun occidentale era mai riuscito a integrarsi nella loro cinematografia, la figura del “bianco” eroe di film d’azione era inconcepibile. La Cina rappresentava una sfida quasi impossibile. Io però amavo quel paese profondamente, non solo per la millenaria tradizione di arti marziali, ma anche per la storia che lo aveva caratterizzato e per i grandi filosofi e scrittori che vi erano nati e vissuti. E così decisi di provare a realizzare l’impossibile, diventare un simbolo di unione tra cultura cinese e occidentale. Molti mi davano del pazzo, ma più me lo dicevano e più la mia grinta cresceva. E così a 23 anni, ho preparato la mia valigia, raccolto un po’ di risparmi che avevo messo da parte, insegnando arti marziali a Prato e sono partito. Ed oggi eccomi qua!
Sei l’italiano star d’Oriente e la fortuna all’estero è una condizione che accomuna molti giovani. Come vivi questo cambiamento e quali credi siano le cause di tale mancanza in Italia?
Prima di tutto ribadisco che non ho lasciato l’Italia perché costretto o altro. All’epoca il mio successo qua non era la mia priorità. Detto questo, però, sento spesso parlare di storie di grande successo di italiani all’estero e io stesso ho conosciuto molte persone che mentre in Italia facevano grande fatica a realizzarsi, una volta trasferitesi in altri paesi hanno realizzato i loro sogni e le loro ambizioni. Io mi sento sicuro nell’affermare che il problema che sta alla base di questa mancanza di chance in Italia è che il nostro paese è diventato il paese “della gelosia e dell’invidia”. Se qualcuno ha un sogno in Italia viene deriso, gli viene detto che è un povero illuso, una nullità. Ogni spinta a realizzarsi, ogni ambizione viene vista con astio e gelosia. Come se quella persona fosse un arrogante o un montato, solo per il semplice motivo di sognare qualcosa di più per la sua vita e la sua esistenza. E questo problema non è diffuso solo nelle Istituzioni, che certo non fanno nulla per aiutare. E’ un problema che affligge molti italiani in generale. Siamo arrivati a un punto in cui molte persone comuni “odiano” chi sogna qualcosa di più che il semplice posto di lavoro fisso ad esempio. La gelosia dilaga come una piaga e questa è una cosa che impedisce a tante persone di realizzarsi qui. Parlando per la mia esperienza personale, posso dire che i primi tempi in cui la news della mia carriera in Cina si diffuse, tramite i miei amici venni a sapere che molti italiani commentavano su internet il mio percorso con astio e rancore, senza sapere assolutamente niente di tutti i sacrifici che c’erano stati dietro. Da chi diceva che ero un mero ballerino incapace, a chi si vantava di essere meglio di me, a chi mi dava del buffone etc. Invece di compiacersi nel sapere che un italiano, un connazionale, era riuscito in qualcosa che nessuno aveva mai conquistato prima, né francesi, né americani etc, molti si erano invece “infuriati” di fronte a questa cosa. “Questo buffone lo stenderei in due secondi” scriveva qualcuno. Qualcuno addirittura per sminuire il mio percorso arrivò persino a dire che in Cina per un occidentale è facilissimo diventare una Star del cinema, travisando persino la realtà delle cose. La cosa in realtà era molto comica, perché avrei voluto vedere chi mi criticava alle prese con il mio stesso percorso che fine avrebbe fatto. Chi sarebbe partito lasciando tutto e tutti e soprattutto con pochissimi soldi? Chi avrebbe lavorato per un anno intero senza un crociato del ginocchio destro, andando a letto quotidianamente tra fitte e dolori lancinanti? Molti parlavano della cosa come se fossero tutti stati in grado di fare uguale o persino meglio. In Cina molti miei colleghi si stupirono persino di certe reazioni e arrivarono a dirmi che se io fossi stato francese o tedesco o americano, quei Paesi avrebbero apprezzato nella loro totalità il successo di un connazionale. Il problema quindi è che se in Italia non si impara nuovamente a fare il tifo per gli altri italiani, ad apprezzare gli sforzi del prossimo e a rispettare le persone che ci circondano, come si pretende che la situazione cambi? Il cambiamento deve arrivare prima di tutto da noi. Lasciare da parte la gelosia e lasciare invece che certi sogni ed ambizioni ci servano da ispirazione per dare il meglio nelle nostre vite. Io adesso cercherò di lavorare facendo ponte tra Italia e Cina anche per cercare di aiutare a sbloccare questa situazione.
Con Pechino Express hai dimostrato di amare l’avventura. Rifaresti l’esperienza del reality?
Io dico sempre che sono nato con l’avventura nel sangue. Tutto ciò che rappresenta una sfida per me stesso mi affascina incredibilmente. E poi sono sempre stato amante dei luoghi esotici, di giungle, isole misteriose. Sono cresciuto anche a pane e Indiana Jones. Ero un divoratore di fumetti come Mister No e Corto Maltese. Con Pechino Express si è finalmente presentata l’occasione di vivere dal vivo una vera e dura avventura, dove potevo contare solo su me stesso ed il mio compagno di squadra. Finalmente potevo essere un avventuriero anche al di fuori della fiction cinematografica. E posso senza ombra di dubbio affermare che rifarei questa esperienza ad occhi chiusi. Dalla A alla Z. Anzi colgo l’occasione per far sapere alla produzione che qualora mi volesse di nuovo io ho già la valigia pronta!!!
Pechino Express ha messo a nudo forze e debolezze di Christian Bachini, cosa pensi ti abbia insegnato l’esperienza?
Pechino Express mi ha insegnato due grandi cose. La prima è che per fortuna esistono ancora persone dalla bontà incontaminata. Durante il viaggio venivamo accolti da persone che davvero non possedevano quasi niente ma che si facevano in quattro per aiutarci, arrivando persino a privarsi del loro stesso cibo che già magari scarseggiava. Per me è stata una lezione di vita indimenticabile. Sembra una frase fatta, ma se tutti fossimo dotati del medesimo altruismo e della stessa semplicità, il mondo di sicuro sarebbe un posto migliore e più vivibile. La seconda grande cosa che mi ha insegnato questo viaggio è che mantenere sempre la calma e la razionalità in qualunque situazione paga sempre. La pace mentale ti aiuta ad affrontare tutte le situazioni anche le più faticose e apparentemente impossibili da superare. Ansia e rabbia invece sono distruttive e portano solo alla sconfitta.
Il cinema è la tua più grande passione e sei riuscito a mutarla in vero e proprio lavoro grazie anche alla passione per le arti marziali. Quali sono le difficoltà di maggiore rilievo per chi insegue questo tipo di passione?
Beh, la difficoltà più grande è che la competizione è tanta. Sono in molti coloro che sognano di diventare Star dei film di arti marziali e il mondo è pieno di artisti marziali di un talento pazzesco e ineguagliabile. Bisogna saper essere creativi e riuscire a dare vita a qualcosa di nuovo ed unico che possa farci emergere dalla mischia. Migliaia di persone sanno eseguire acrobazie spettacolari e calci volanti che lasciano a bocca aperta. Quanti però riescono a dare un’anima a queste loro tecniche? Quanti riescono a farle vivere di vita propria invece che limitarsi ad eseguirle con meccanicità e freddezza. E’ questo che rende un artista marziale unico. Se bastasse essere dei bravi atleti il mondo sarebbe pieno di novelli Bruce Lee. La seconda difficoltà e che spesso ci si scorda che essere attori di film di arti marziali significa appunto essere attori in primis. Ci si deve prodigare per acquisire quegli strumenti in grado di aiutarci a far vivere questo o quel personaggio. Bisogna essere pronti a dedicare anni a perfezionare il nostro talento “recitativo” tanto quanto il tempo che si dedica alla parte fisica. Parlando della Cina poi la più grande difficoltà è che bisogna essere disposti a soffrire e a lavorare anche 20 ore sul set se necessario. Essere una Star del Kung Fu laggiù non significa vivere nel lusso e nel Glamour. Significa entrare sul Set ogni giorno sapendo che la giornata potrebbe finire con un ricovero in ospedale. I colpi sono per il 70% veri, la qualità da raggiungere nei combattimenti ha standard elevatissimi. E a volte per girare una sola inquadratura serve ripeterla anche 200 volte purché risulti perfetta. Per questo in Oriente esistono ed esisteranno sempre i migliori attori action. Essere un divo delle arti marziali in Asia significa essere un vero duro prima di tutto.
Hai dimostrato di avere un animo cosmopolita e una carriera cinematografica consolidata all’estero, oltre che l’amore. Cosa potrebbe ricondurti in patria?
Solo il riuscire a portare alla rinascita del cinema d’azione qui nel nostro paese. La mia base sarà sempre la Cina, ormai è la mia casa e Shanghai è nel mio cuore e lo resterà per sempre. Il poter però ridare lustro al nostro cinema a livello internazionale è di sicuro un grande sogno che mi spingerà a fare più ponte tra il tempo trascorso in Cina e quello in Italia. Dopo essere un simbolo di comunione tra due culture vorrei poterlo essere anche per questa nuova era del cinema italiano. Noi eravamo maestri indiscussi dell’action negli anni ’70 e ’80. Abbiamo ispirato anche Hollywood e registi come Tarantino e De Palma. E’ il momento di combattere di nuovo per lo scettro di re di questo tipo di cinema. Inoltre spero di poter intraprendere anche percorsi di formazione professionale per gli stuntman e gli addetti del settore qui in Italia. Aiutare a far salire il livello di preparazione anche per quanto riguarda le arti marziali da schermo. Vorrei l’anno prossimo finalmente vedere una locandina di un film italiano zeppa di esplosioni, combattimenti e “eroi” duri come ormai mancano dai tempi dei leggendari Fabio Testi, Maurizio Merli e Tomas Milian.
Quali credi sia stato il film che ha segnato l’ascesa della tua carriera orientale?
“Chen Muo De Fu Chou” senza ombra di dubbio. Il titolo tradotto in italiano significa “Vendetta Silenziosa”. Narra la storia di un ragazzo sordomuto e buono come il pane che vive in Cina da quando è rimasto orfano dei genitori mentre era ancora in fasce. Lavora per lo zio che fa import-export ed è segretamente innamorato di una bellissima ragazza cinese. Per il suo handicap però si sente insicuro, un emarginato e non degno di meritare l’amore di una persona così splendida. L’unico linguaggio che lo fa sentire libero però è quello delle arti marziali di cui è diventato un grande amante ed esperto. Quando una pericolosa gang di Hong Kong metterà a rischio però la vita dello zio e della ragazza, la sua timidezza si trasformerà in furia cieca e lo spingerà a trasformarsi in un eroe per forza, fino a perdere la vita per salvare coloro che ama. Una storia piena di poesia e amore. Grazie all’escamotage del suo deficit poi non avevo bisogno di parlare, comunicavo usando la lingua dei segni in cui mi ero allenato per mesi. Così facendo il pubblico cinese si scordava del fatto che non fossi Orientale e non si distraeva per il mio accento. E’ un film ormai di 6 anni fa, ma ancora oggi resta una pietra miliare del mio percorso, tanto che amerei farne un remake più internazionale per farlo conoscere anche al di fuori della Cina. Una storia che insegna ad avere il rispetto per gli altri e che avere un handicap non ci rende assolutamente inferiori a nessuno. Per un attore con la A maiuscola diffondere questi messaggi deve essere lo scopo principale della sua carriera.
Amareggiato, pentito o in qualche modo risentito del fatto che abbia spiccato il volo lontano dalla patria ?
Assolutamente no. Come ho spiegato io ho voluto il successo in Cina. Averlo in Italia non mi interessava all’epoca. Io voglio essere ricordato come una Star d’Oriente. E poi qui in Italia quel genere di cinema non esisteva, quindi non c’era motivo di cercare il successo qui. Io non ho mai inseguito la semplice luce dei riflettori ne ambisco a mera fama e gloria. Il mio percorso professionale si basa sulla passione e sul diffondere lo spirito delle arti marziali per tenerle in vita durante il passare degli anni. Voglio dare il mio contributo affinché queste arti millenarie continuino ad essere note e praticate. E voglio anche essere un esempio di coraggio per tutti coloro che si chiedono se sia giusto inseguire o meno un sogno.
In molti suoi colleghi hanno affermato che all’estero più che in Italia ci sia meritocrazia, quella vera, lontana dalle soffiatine e le corruzioni. Ti ritrovi in questo ?
Mi verrebbe da dire che in campo di cinema e Tv un pò tutto il mondo è paese. Esistono ovunque i raccomandati tanto per essere chiari. Però all’estero la cosa è bilanciata dal fatto che se in qualcuno viene riconosciuto un talento, quel qualcuno viene aiutato a sfruttarlo al massimo e non trattato come un appestato come avviene invece in Italia. Qui spesso conta solo l’aggancio, il contatto giusto, e anche un buono a nulla può diventare un re. All’estero e anche in Cina ad esempio, se sei un buono a nulla potrai arrivare al massimo fino ad un certo punto ma non andrai mai oltre quel livello. Laggiù trionfa chi ha un valore ed un talento vero.
In quali progetti, cinematografici e non, italiani e/o esteri, ti vedremo coinvolto?
Al momento mi sto preparando per lavorare in molteplici progetti. Prima di tutti l’ormai noto film a fianco di Luca Argentero. Basato su un soggetto scritto da uno scrittore pratese e mio collega, David Ceccarelli, la storia parlerà di una coppia di poliziotti agli antipodi che dovranno unire le forze per affrontare la mafia giapponese che ha iniziato a commettere degli efferati delitti nella Chinatown romana. Sarà un revival delle nostre commedie d’azione in stile Bud Spencer e Terence Hill. Oltre a questo ho altro 4 film in preparazione tra Italia e Cina, dei quali ancora posso rivelare poco. Altro progetto molto interessante è quello di una serie documentaristica basata su leggende e misteri della Cina che mi vedrà nel ruolo di presentatore e che dopo l’avventura di Pechino Express sembra esserne un degno seguito anche se questa volta si tratta di un progetto interamente cinese. A brevissimo inoltre sarò sul Set di un teaser dimostrativo che servirà da preludio alla nascita di una grande epopea action e che verrà girato per le strade di Roma. Sarò impegnato in inseguimenti al fulmicotone ed arti marziali come non sono mai state viste prima. Per concludere gira anche voce di un Reality basato sulle arti marziali che potrebbe vedermi rivestire anche qui il ruolo di presentatore e poi una serie TV poliziesca ambientata a Livorno ed un film di gangster ambientato ad Hong Kong, entrambi scritti da sceneggiatori italiani ma che farò produrre interamente in Cina.