Luigi Di Fiore pronto per una nuova fiction su Rai Uno: “Baciato dal sole? Un’esperienza incredibile!”

E’ da poco reduce da esperienze televisive molto amate dal pubblico, quali “Provaci ancora Prof 6” con Veronica Pivetti su Rai 1, “Un’altra vita” con Vanessa Incontrada con Estrada e “ A Napoli non piove mai”, con la regia del suo grande amico Sergio Assisi. Presto vedremo l’attore Luigi Di Fiore in teatro, suo grande amore da sempre, con “Follia d’amore”, tratto dalla “Sonata a Kreutzer” di Lev Tolstoj. Napoletano di origini e milanese d’adozione, si è fatto conoscere giovanissimo con fiction famosissime in tutto il mondo come “La Piovra” e “Un posto al sole”; la sua non è una carriera nata all’improvviso, ma il frutto del lungo studio cominciato alla bottega teatrale diretta da Vittorio Gassman. A gennaio andrà in onda su Rai Uno la sua nuova avventura televisiva, “Baciato dal sole”, diretto da Antonello Grimaldi e girato tra Londra, Puglia e Roma. Faranno parte del cast Guglielmo Scilla, il protagonista, Barbora Bobulova, Giuseppe Zeno, Lorena Cacciatore e Nina Torresi. Una fiction di 6 episodi che racconterà il sogno di un giovane abbandonato dalla madre all’età di 4 anni che sogna di diventare un cantante di successo e parteciperà a un talent show, dove ci sarà anche la partecipazione straordinaria di Noemi, che duetterà con Scilla.

Luigi Di Fiore intervista esclusiva a Gente Vip
Luigi Di Fiore

Ha girato da poco la bellissima fiction “Baciato dal sole”. E’ un lavoro che ama particolarmente, perché?

Luigi Di Fiore Baciato dal Sole fiction Rai Uno
Luigi Di Fiore intervista

“Baciato dal sole” è una serie televisiva di 12 episodi divisa in 6 puntate che, molto probabilmente, andrà in onda nel mese di gennaio su Rai 1. E’ stata un’esperienza lavorativa che pongo al vertice delle cose più pregevoli che ho fatto nella mia carriera. Naturalmente sarà il pubblico a giudicare il lavoro svolto, ma quello che posso dire, partendo dal mio punto di vista, è che il dispendio di energie economiche e artistiche di cui sono stato testimone è paragonabile a ben poche cose viste nella mia vita lavorativa. La scrittura, affidata alle mani di Alberto Taraglio, Maria Grazia Saccà, Alessandro Sermoneta ed altri, è stata quanto di meglio un attore possa desiderare per potersi sentire a proprio agio nella sfida di interpretare i sentimenti e i colori di personaggi e situazioni descritti così bene. Ti senti obbligato a dare il meglio per esserne all’altezza. Lo sforzo produttivo della Pepito Produzioni diretta da Agostino Saccà ha dato una prova di caparbietà, di professionismo e, in definitiva, d’amore per questo mestiere che è quello di raccontare storie, di raccontarci, per vedere da vicino i nostri limiti, le nostre passioni, i nostri sogni. Mentre ancora giravamo le scene degli esterni della serie, osservavo, ammirato, le escavatrici al lavoro all’interno dei Teatri di posa. Sventravano il terreno di cemento e terra a oltre dieci metri, per creare più piani, di quella che sarebbe poi diventata IdraTV; la televisione di cui si parla nella fiction. La regia, affidata ad Antonello Grimaldi, che con sapienza ci ha guidati in questa avventura, è stata superlativa. Gliel’ho detto in privato e lo ripeto qui: “Mi hai regalato un’esperienza incredibile! E chi se la scorda la tua dolcezza, la tua sensibilità, la tua maestria”. I partner con cui ho interagito in scena, che attori magnifici! Uno più completo a bravo dell’altro: Guglielmo Scilla, Barbora Bobulova, Giuseppe Zeno, Nina Torresi, Lorena Cacciatore, Gennaro Iaccarino ed ancora altri. Parliamo di televisione, il dietro le quinte di due grandi talent, senza essere auto-referenziali. Un’operazione pienamente riuscita a mio modo di vedere.

Il tratto principale del suo carattere?

Le auto-descrizioni nascondono un’infinità di insidie. La prima volta che ho sentito la mia voce registrata, come molti, ho subito uno scompenso immediato. Quello che pensiamo di essere, attraverso il nostro giudice interno, spesso non coincide affatto con quello che gli altri percepiscono di noi. Mi sono sentito dire spesso che un tratto del mio carattere si associa alla solarità, alla disponibilità, nella versione positivista. Al suo opposto qualcun altro mi ha rimproverato la testardaggine, un certo assolutismo nell’esprimere le mie posizioni ideologiche. Da giovane ero irascibile perché facevo fatica a contenere il dolore di quelle situazioni che io interpretavo come delle ingiustizie. Ho imparato, a mia spese, ad essere più pacato, più comprensivo delle posizioni altrui, sperando sempre di non cadere nell’accondiscendenza che tanti danni procura nella vita di tutti i giorni.

In questo lavoro, particolare e a volte competitivo, è possibile creare rapporti positivi sinceri tra colleghi?

Questo lavoro è sempre competitivo. Quando la competizione è accompagnata da insicurezza e ci si preoccupa più di come l’altro riesce nei suoi intenti di quanto noi siamo in grado di dare, allora è una gran brutta situazione. Se essere competitivi significa dare il massimo perché anche l’altro sia nelle condizioni di farlo, allora siamo nella giusta dimensione. Quasi tutte le mie amicizie più profonde sono legate al mio mestiere. Ho incontrato brutte persone, alcune persino devastanti che agiscono per invidia e per un mal riposto senso di superiorità. Altri incontri sono stati quanto di meglio potessi desiderare dalla vita. Siamo tutti sotto lo stesso cielo, respiriamo tutti la stessa aria. La vita spesso ti mette a dura prova lanciandoti delle sfide alle quali non puoi sottrarti. Vale per tutti gli esseri umani, siano essi attori, dirigenti, impiegati, operai.

Cosa ha imparato da tanti anni di carriera?

Non si arriva mai. Non esiste un punto, una fermata nella quale puoi ristorarti e godere di quello che hai costruito. Mia madre dice spesso che mi sono scelto un mestiere che è costruito sull’acqua ed è impossibile gettare le fondamenta. Ha ragione. Perfettamente ragione. D’altro canto, se ci è permesso volare un po’ più in alto, l’unica certezza che ci può dare la vita è quella dimensione che noi siamo abituati, per cultura, a chiamare morte. Penso che il compito più importante, per tutti noi, sia quello di andare alla ricerca di se stessi. Tutto quello che costruiremo o accumuleremo lo lasceremo qui. Sarebbe stato inutile il nostro passaggio se oltrepassassimo quella porta senza essere arrivati alla conoscenza sufficiente del sé. Unico patrimonio che ci sarà concesso di portare da un’eventuale “altra parte”. Il mestiere dell’attore è un’ottima palestra per questa ricerca.

Da dove è nato l’amore per il teatro e il desiderio di fare cinema?

Probabilmente è tutto cominciato per un desiderio di riscatto. La mia adolescenza, vissuta in quartiere centrale ma popolare di Milano negli anni ’70, è stata scandita dalla violenza. Erano gli anni felici della contestazione ma anche i più bui per il sangue, troppo sangue innocente riversato nelle strade. Tutti i giorni. Tutti i santi giorni. Sotto casa mia c’è un piccolo parco che si chiama i Marinai d’Italia, con al centro una struttura occupata in quegli anni dalla comune di Dario Fo, la Palazzina Liberty. Era inevitabile sentirsi coinvolti da quella splendida energia. Avevo 12 anni e assistevo alle prove del “Fanfani rapito” accanto a quella raggiante donna che era Franca Rame, mi sentivo una specie di mascotte. Rimasi incantato dai meccanismi della macchina teatrale. Le maschere, i costumi, i camerini degli attori, il mimo che alle spalle di Dario Fo interpretava all’unisono, col grande maestro, le sembianze del politico Fanfani. Vidi lo spettacolo per 30 sere di seguito. Non avrei mai più potuto immaginare di potere fare altro. Il cinema e la televisione sono state una conseguenza di tutto questo.

Il ricordo più bello e quello più brutto della sua carriera?

Il ricordo più bello è sicuramente quello legato alla telefonata di Vittorio Esposito, all’epoca segretario della Bottega Teatrale diretta da Vittorio Gassman, che mi comunicava dopo innumerevoli provini, (eravamo partiti in 150 candidati per soli 10 posti) che ero stato selezionato per frequentare quella scuola che ritenevo fondamentale per poter accedere alla professione. Rimasi interdetto e poi esplosi in una gioia assoluta. Assoluta. Non ho mai più provato una felicità così pura. Mi ci sono avvicinato quando, a distanza di 3 anni, Giorgio Strehler mi affidò il ruolo di Don Giovanni nell’ “Elvira o la passione teatrale”, spettacolo che segnava il debutto del Teatro studio e del 40° del Piccolo Teatro, scegliendomi tra 1000 candidati ed entrai, come attore giovane, nel tempio del Teatro europeo.

Fatico ad esprimermi sui momenti peggiori perché dovrei coinvolgere persone, colleghi, con cui non vorrei avere più niente a che vedere. Ci sono stati momenti amari che ora sono definitivamente alle spalle ed è lì che devono rimanere. Posso dire che i momenti più difficili sono quelli legati alla disoccupazione, la possibilità di vedere il futuro non supera mai alcuni mesi, alle volte è davvero difficile adattarsi ma questo è il mestiere che ho scelto.

In cosa si sente diverso dagli altri?

Non mi sento diverso. Allo stesso tempo siamo tutti unici e le conoscenze sul DNA hanno definitivamente confermato questa cosa che è lapalissiana. Non sono diverso perché sono consapevole di appartenere alla razza umana e che i sentimenti che provo corrispondono specularmente a chi mi è prossimo.

Cosa è per lei l’amore?

Non l’ho ancora capito. Se per amore si intende quello provato nei confronti di un’altra donna. L’amor cortese, del nostro Medio Evo, ha tentato di codificarlo e ancor di più lo ha approfondito Shakespeare. Anche alcuni passi del Vecchio Testamento ne hanno dato una definizione. Tutti i grandi poeti, di tutti i tempi, si sono cimentati per cercare una struttura che riuscisse a contenere i sensi e i sentimenti di cui siamo capaci come essere umani. Non ci sono riusciti appieno e non sono certo più titolato di loro per azzardare ipotesi in questo senso. La donna rimane per me ancora avvolta in una sorta di mistero inviolabile, allo stesso tempo è una sorgente di ispirazione infinita. Essa dona la vita, la sente crescere dentro, questo è un potere enorme. In questo senso e sotto questo aspetto, noi uomini, siamo terribilmente inferiori.

La qualità che preferisce in una donna?

La pazienza, l’ironia, la dolcezza, l’intelligenza, la fedeltà e alcune dosi di sfacciataggine sessuale che non guastano mai.

Il romanzo che avrebbe voluto firmare?

Sono un lettore, non mi azzarderei nemmeno per un pensiero ad immaginarmi scrittore. Se senti il bisogno di scrivere, significa che hai qualcosa di molto importante da dire. Provo tanta di quella venerazione per la grande letteratura russa dell’800 che mi sento assolutamente insignificante ed ignorante, esageratamente ignorante per immaginare di cimentarmi in qualcosa che richiede il prezzo di una vita, e, a volte, non basta neanche quella.

Un attore come lei, con un bagaglio culturale molto vasto e impegnativo, passerebbe volentieri dal ruolo di attore a qualcos’altro, come ad esempio il ruolo di regista? Ci hai mai pensato?

Ci ho pensato e l’ho anche fatto. Ho firmato una regia teatrale, 2 cortometraggi ed un lungometraggio ed anche alcuni documentari. Ho sempre detto di non essere un regista, così come lo si intende sin dai primi anni del ‘900, ma un attore che guidava una compagnia di altri attori. I documentari hanno avuto una vita abbastanza felice (sono stati mandati su Geo&Geo), dei 2 cortometraggi ne vado molto fiero, uno si intitola SOAPOPERAI ed è un omaggio che ho fatto e pensato per congedarmi dalla mia esperienza attoriale consumata nella famosa soap del Vesuvio. L’altro è un cortometraggio che sensibilizza sulla scomparsa delle api sponsorizzato da Green Peace. Il lungometraggio si intitola “Taxi lovers” che è stato un vero fallimento sotto quasi tutti i punti di vista.

Che cosa fa per staccare la testa dai pensieri e distrarsi un po’?

Gioco on line a scacchi. Sono malato. Devo fare almeno una decina di partite al giorno, anche di notte. E’ più forte di me. E’ il gioco più ricco di fascino ed emozionale che io conosca. Lo consiglio a tutti. In una partita di scacchi si può evidenziare una sorta lezione di vita, un consiglio per le regole, le conseguenze delle proprie azioni, capire la strategia. Una lezione di vita in miniatura.

Che rapporto ha con il calcio?

Ho giocato a calcio fino ai 40 anni. Ho giocato svariati anni nella nazionale attori. Ho fondato e sono stato presidente e capitano di CalciAttori Team per parecchi anni. E’ un gioco che amo. Non sono un tifoso nel termine classico. Se guardo una partita della squadra del cuore esulto e sussulto e mi arrabbio davanti al televisore, ma detesto profondamente il tifo da stadio. Un modo di essere che è stato mutuato anche dalla politica, portandoci ad una deriva da cui difficilmente riusciremo a riconquistare la riva. Detesto le esasperazioni delle fazioni da stadio, anzi mi fanno letteralmente ribrezzo.

Se la sua casa bruciasse e avesse la possibilità di salvare un solo oggetto, cosa sceglierebbe?

Il passaporto naturalmente.

Luigi Di Fiore nel suo tempo libero…

Leggo, piscina, Villa Pamphili, dove vado a rifocillare le papere del laghetto col pane raffermo della settimana. Quando mi avanzano dei soldi cerco di viaggiare.

L’attore o l’attrice con cui le piacerebbe lavorare?

Mi sono tolto una bella soddisfazione con Barbora Bobulova e Sergio Rubini nel film per la TV che ho appena finito di girare per Rai1 con la regia di Fabrizio Costa (un gigante). Sono tanti gli attori e le attrici con cui mi piacerebbe misurarmi. Non voglio fare torto a nessuno specificando nomi e cognomi.

Progetti futuri?

Vorrei essere al centro di un progetto. Desidero la massima responsabilità. Mi guardo intorno e spero che mi si possa dare fiducia per affidarmi un compito così difficile.

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